mercoledì 15 agosto 2012

Il furto del tempo

"Scusate la lunghezza di questa lettera poiché non ho avuto il tempo di farla più corta". Con questa citazione, tratta da un francese (o una francese) del settecento inizia una nota di Leonardo Sciascia a Il giorno della civetta. Perché con l'illuminismo, l'attenzione alla organizzazione del sapere, alla catalogazione delle cose in modo che i fatti possano essere una buona base per il pensiero, è emerso che ci vuole più tempo e maggiore capacità a scrivere in modo sintetico che in modo prolisso (nozione che dopo quasi tre secoli non è ancora arrivata nelle università italiane).

Nel giornalismo la questione si riduce a un problema di furto di tempo. Se chi scrive non impiega il tempo necessario a sintetizzare e a rendere comprensibile la sua comunicazione, quel tempo dovrà mettercelo il lettore. E' il centro stesso del lavoro giornalistico. Un testo molto preciso ma poco comprensibile richiede molto tempo per essere digerito. Si instaura tra il giornalista e il lettore una sorta di contratto. Una comunicazione richiede complessivamente un certo tempo: una parte la mette chi scrive, un'altra chi legge. Tanto più tempo risparmia il giornalista, tanto maggiore è il tempo che ci deve mettere il lettore per leggere la (lunga) notizia fino al fondo e per comprenderla.

Il fatto è che il lettore è disponibile a impiegare sulla notizia solo una certa quantità di tempo e di concentrazione, in funzione all'importanza che per lui o lei riveste. Perciò succede che il tempo richiesto a volte diventa troppo e il contratto si rompe: il lettore non legge più la notizia.

Ciò che non serve, non è inutile, è dannoso: perché confonde, attira l'attenzione e fa fare più fatica a capire il contenuto vero. E' un principio perfettamente noto in ingegneria, dove si definisce "rumore" tutto ciò che non aggiunge nulla alla comunicazione. Se per indicare un numero bastano 2 bit, e invece noi ne trasmettiamo 6, i quattro in eccesso, che sono ridondanti, consumano capacità di elaborazione del processore che li deve interpretare inutilmente. E aumentano anche il rischio di una sbagliata interpretazione da parte del processore, nel caso di qualche errore lungo la linea.

In fondo l'apprendimento di una mente artificiale si risolve in questo: estrarre da un insieme di elementi ambientali l'informazione. Non essendo prigri per definizione, i robot forse saranno dei buoni giornalisti.