sabato 24 novembre 2012

Alan Turing: questo è solo un'ombra di quello che sarà

Alan Turing aveva già capito tutto. Aveva già risposto a tutte le domande fondamentali dell'intelligenza artificiale, o meglio aveva già dato tutte le risposte necessarie a indicare la direzione nella quale andare, il che vale ancora di più. Sto leggendo un libro meraviglioso su Turing, noto matematico inglese che fu il padre dell'informatica, oltre al principale artefice della decriptazione del codice che usavano i tedeschi durante la seconda guerra mondiale per trasmettere tra di loro ordini e risultati delle operazioni militari. Nonostante i suoi eccezionali meriti, fu perseguitato per la sua omosessualità e si suicidò a 41 anni, mangiando una mela avvelenata col cianuro di potassio, probabilmente prendendo spunto dalla favola di Biancaneve, la cui versione Disney del 1938 lo aveva colpito particolarmente. Il libro, "L'uomo che sapeva troppo", di David Leavitt, Codice Edizioni, (da cui sono tratte tutte le citazioni di seguito), ripercorre tutta la vita di Turing.


TRATTARE LE MACCHINE IN MODO EQUO: L'INTELLIGENZA NON È INFALLIBILE
Tra gli anni Trenta e Quaranta scriveva ciò che ancora oggi resta alla base dello sviluppo tecnologico del prossimo secolo. Parlando di un suo progetto, l'Ace (Automatic Computing Engine), che stava sviluppando presso il National Physics Laboratory di Teddington (un sobborgo di Londra) scrisse:

Io sostengo che la macchina deve essere trattata in modo equo e leale. Invece di avere una situazione in cui essa a volte non dà risposte, potremmo aggiustare le cose in modo che dia ogni tanto risposte sbagliate. Anche il matematico umano prende qualche cantonata quando sperimenta nuove tecniche. E' facile per noi considerare queste sviste come non rilevanti e dare al ricercatore un'altra possibilità, ma alla macchina non viene riservata alcuna pietà. In altre parole, se si aspetta che la macchina sia infallibile, allora essa non può anche essere intelligente.

Per proseguire nel mio appello per un fair play nei confronti delle macchine nel verificare il loro quoziente di intelligenza, voglio osservare che ogni matematico umano è sempre sottoposto a un addestramento prolungato e che il suo effetto può essere considerato non dissimile dall'inserzione di tavole di istruzioni dentro a una macchina. Non ci si deve perciò aspettare che essa faccia molto nella direzione di costruire tavole di istruzioni sue proprie. Nessun uomo aggiunge granché al corpo generale delle conoscenze umane: perché dovremmo aspettarci di più da una macchina?


LE SCOPERTE DI UN ALLIVEVO BRILLANTE NON APPARTENGONO AL MAESTRO
Le posizioni di Turing accesero la curiosità della stampa e anche le obiezioni dell'opinione pubblica, che si divise sull'idea che fosse possibile costruire macchine intelligenti. Turing rispose elencando le cinque obiezioni principali (che sono sorprendentemente le stesse a settant'anni di distanza), e rispose a una per una:

Una riluttanza ad ammettere la possibilità che il genere umano possa avere rivali nei poteri intellettuali; [...] un sentimento religioso, secondo il quale ogni tentativo di costruire macchine del genere sia una sorta di empietà prometeica; [...] il potere molto limitato delle macchine usate fino ai tempi recenti (possiamo dire fino al 1940) [...] [che ha] incoraggiato la convinzione che le macchine fossero necessariamente limitate a compiti estremamente diretti, forse persino solo a quelli ripetitivi; [...] la scoperta che esistono casi in cui qualunque macchina è incapace di fornire una risposta [mentre] l'intelligenza umana sembra capace di trovare metodi di potenza sempre crescente per trattare tali problemi "trascendendo" i processi disponibili alle macchine; [...] [l'idea che] se e nella misura in cui una macchina può esibire intelligenza, la sua prestazione dev'essere considerata nulla più che un riflesso dell'intelligenza del suo creatore.

Le prime due obiezioni, scrisse, "sono puramente emotive e non richiedono davvero una replica. Se si sente la necessità di una loro confutazione preventiva, c'è ben poco da dire, anche se l'effettiva costruzione delle macchine avrebbe probabilmente un certo peso". Alla terza obiezione rispose che le macchine "possono compiere, ammesso che non si verifichino guasti, numeri immensi di operazioni non ripetitive". Ed è proprio questo, sottolineò, quarta risposta, che rende le macchine non infallibili. Anzi, disse che l'infallibilità non è necessariamente un "un requisito per l'intelligenza".

Per quanto riguarda la quinta obiezione, "il merito per le scoperte di un allievo dovrebbe essere assegnato al maestro. In caso di successo, l'insegnante sarebbe lieto della riuscita dei suoi metodi di educazione, ma non pretenderebbe di attribuirsi i risultati, a meno che non li avesse comunicati proprio lui all'allievo".


L'INIZIATIVA
E centrò il punto fondamentale sul quale i ricercatori dell'intelligenza artificiale si dannano l'anima:

Perché la mente non addestrata del neonato diventi intelligente, dovrà acquisire sia disciplina che capacità di iniziativa. [...] La disciplina da sola non è certamente sufficiente a produrre intelligenza: è richiesta, in aggiunta, anche l'iniziativa (e questa frase dovrà servire da definizione del concetto). Il nostro compito è quello di scoprire la natura di questo "residuo" che si presenta nell'uomo e cercare di "copiarlo" nelle macchine.

Non solo, ma introduce un concetto fondamentale, quello della comunicazione con gli umani, senza la quale l'intelligenza può risultare incomprensibile: "Alla macchina deve essere permesso di avere contatti con gli esseri umani affiché possa adattarsi ai loro criteri".


LA POESIA
Gli rispose Geoffry Jefferson, direttore del dipartimento di neurochirurgia dell'università di Manchester e fautore della lobotomia frontale:

Fino a quando una macchina non potrà scrivere un sonetto, o comporre un concerto, sulla base di pensieri e di emozioni sentite come tali e non per una casuale combinazione di simboli, cioè finché non solo possa farlo, ma sappia di averlo fatto, noi non accetteremo mai che possa essere l'eguale del cervello. Non c'è meccanismo capace di provare (e non semplicemente segnalare artificialmente, il che sarebbe facile da ottenere) piacere per i successi conseguiti, dolore quando le sue valvole bruciano, gioia quando riceve dei complimenti, tristezza per gli errori commessi, l'incanto del sesso, la collera o la delusione perché non riesce ad avere ciò che desidera.

La risposta di Turing è spiazzante e geniale, perché sposta il terreno:

Io non credo che si possa porre il limite di sonetti, sebbene il paragone non sia molto corretto perché un sonetto scritto da una macchina sarebbe meglio apprezzato da un'altra macchina.


QUESTO E' SOLO UN'OMBRA DEL FUTURO
E poi racconta come vede il futuro, mettendo giù quella che ha il sapore di una profezia:

Questo è solo un assaggio di quello che verrà, soltanto un'ombra di quello che sarà. Dobbiamo acquisire un po' di esperienza con la macchina prima di scoprire veramente le sue capacità. Potrebbero volerci degli anni prima che ci applichiamo sulle nuove possibilità, ma non vedo perché [la macchina] non dovrebbe accedere a qualunque campo normalmente dominato dall'intelletto umano e alla fine competere a pari condizioni.

E questo è iCub, un progetto nato a Genova che sembra uscito direttamente dalla testa di Turing... E' una una piattaforma aperta, una delle più promettenti che esistano.

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